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Separazione e divorzio: un atto unico

Possibilità per i coniugi che intendono separarsi di presentare un ricorso volto ad ottenere sia la separazione che il divorzio.

Una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma Cartabia in materia di diritto di famiglia riguarda la possibilità per i coniugi che intendono separarsi di presentare un ricorso volto ad ottenere sia la separazione che il divorzio, pur restando la domanda di divorzio procedibile unicamente decorso il termine a tal fine previsto dalla legge (6 o 12 mesi, secondo i casi, in ragione della procedura consensuale o contenziosa, ai sensi dell’art. 3 della legge sul divorzio).

Si tratta di un’ottima opportunità non soltanto per risparmiare tempo e denaro, ma anche per affrontare una sola volta la difficoltà della crisi matrimoniale, e la sofferenza che sempre proviene dalla necessità di affrontare le questioni pratiche relative alla fine di una relazione sentimentale, specie in presenza di figli minori.

Data l’irreversibilità della crisi matrimoniale, i coniugi potrebbero voler concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi e la definizione, benché progressiva, della stessa.

La disciplina introdotta dalla riforma Cartabia prevede espressamente tale facoltà soltanto per quanto riguarda separazione e divorzio contenziosi, ovvero quando a causa della conflittualità esistente tra le parti, non vi sia l’accordo sulle condizioni da adottare in relazione a affidamento dei figli, assegno di mantenimento, assegnazione della casa coniugale e ogni altro aspetto della regolamentazione dei rapporti tra ex coniugi.

Non è invece prevista espressamente la facoltà di proporre ricorso per separazione e  divorzio nel caso in cui via sia l’accordo su ogni questione, ovvero in caso di “procedimento su domanda congiunta”, e su questo punto  i tribunali di merito si sono divisi sostenendo tesi opposte.

E’ finalmente intervenuta la Corte di Cassazione che con ordinanza del 16 ottobre 2023 n. 28727 ha confermato che tale novità procedurale è in effetti ammissibile: “nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Sarà quindi possibile, sia in caso di procedura contenziosa che di procedura congiunta, chiedere contestualmente con un unico ricorso sia la separazione che il divorzio, sempre fatta salva la necessità che trascorrano sei o dodici mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione per poter ottenere anche la sentenza di divorzio.

Un notevole risparmio di tempo e di energie per tutti coloro che devono affrontare le conseguenze legali della crisi matrimoniale.

Nuovi criteri per l’assegno divorzile

L’assegno divorzile trovava presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio. Ai fini del calcolo dell’assegno in questione, dovevano dunque essere per quanto possibile ripristinate le precedenti condizioni economiche, per ristabilire un certo equilibrio.

La Cassazione Civile, sez. I, con la recente sentenza 10 maggio 2017, n. 11504, ha invece abbandonato il criterio di adeguamento dell’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La Corte ha stabilito infatti che il criterio del tenore di vita, applicato all’an debeatur, non possa più essere il valido criterio per la determinazione dell’assegno divorzile, proprio perché, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale e tale criterio, una volta applicato limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto, finirebbe per operare un ripristino del vincolo.

In sintesi:

“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”  (Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10 maggio 2017, n. 11504).

Il principio espresso nella suddetta pronunzia è applicabile anche a tutti i processi già pendenti ed avviati prima della pronunzia stessa.


Il parametro di riferimento fondamentale ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile si fonda sul giudizio di adeguatezza-inadeguatezza” dei «mezzi» dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla “possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»” dello stesso di procurarseli.   Tale assunto è inscindibilmente connesso al raggiungimento dell’indipendenza economica” del richiedente: se si accerta che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto all’assegno divorzile.

I principali “indici”per accertare, nella fase di giudizio sull’an debeatur, la sussistenza, o no, dell’”indipendenza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio – e, quindi, l’”adeguatezza”, o no, dei «mezzi», nonché la possibilità, o no «per ragioni oggettive», dello stesso di procurarseli -possono essere così indicati:

a) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
b) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno;c) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;d) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Il Tribunale, Milano, sez. IX civile, ordinanza 22 maggio 2017, ha subito applicato i nuovi principi specificando che: “Per indipendenza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio  sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”.

Il Tribunale di Milano, adeguandosi ai nuovi criteri di determinazioni, elaborati dalla Corte di Cassazione, ha aggiunto un altro elemento valutativo: l’importo minimo reddituale oltre il quale chi richiede l’assegno divorzile non può ottenerne il riconoscimento. Il reddito mensile minimo, per accedere all’assegno di divorzio, viene fissato in Euro 1.000, mensili.

Il coniuge più debole che ha richiesto l’assegno di divorzio non può limitarsi a semplici prove generiche e non circostanziate. Deve, infatti, dimostrare di essere nell’impossibilità – per impedimento fisico o altro – di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Se dovesse limitarsi a dedurre di aver svolto incarichi occasionali non avrebbe sufficientemente provato quanto sopra e perderebbe il diritto all’assegno di divorzio.

FONTE: ALTALEX

La Cassazione in merito all’addebito della separazione

La Cassazione torna sull’ addebito della separazione e sulla necessità del nesso causale tra tradimento e intollerabilità della convivenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 10 giugno – 24 agosto 2016, n. 17317
Presidente e Relatore Dogliotti
In un procedimento di separazione personale, tra M. D. e C. C. il Tribunale di Vicenza, con sentenza definitiva 5/7/2012, pronunciava 1’addebito a carico del marito, e disponeva assegno di mantenimento per la moglie.
La Corte di Appello di Venezia con sentenza del 10/6/20131 confermava la pronuncia del Tribunale, limitandosi a modificare la decorrenza dell’assegno.
Ricorre per cassazione il marito, che pure deposita memoria difensiva. Resiste con controricorso la moglie.
Possono trattarsi congiuntamente i motivi del ricorso strettamente collegati.
Quanto alla violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del marito, questi in sostanza propone una valutazione diversa e alternativa ( dunque inammissibile ) rispetto a quella assunta dal giudice a quo, con motivazione adeguata e non illogica: tra l’altro, la Corte di merito valorizza le deposizioni delle sorelle della moglie, che non riferiscono solo circostanze de relato, come pretende il ricorrente, ma precisano, una di esse che la relazione extramatrimoniale era di dominio pubblico e che essa aveva visto abbracci confidenziali tra il M. e una sua dipendente, l’altra, di averlo visto una volta entrare nell’abitazione di tale persona e rimanervi dalle ore 23,30 fino all’una di notte, e di essere a conoscenza di un viaggio fatto dallo stesso con la dipendente.
Vi sono quindi – secondo la Corte di Appello – indizi gravi, precisi, concordanti, in piena conformità con le dichiarazioni della C..
Perché vi sia addebito, come è noto, è necessario che sussista rapporto di causalità tra la violazione dell’obbligo matrimoniale e l’intollerabilità della convivenza. E’ bensì vero, come afferma il ricorrente, che la violazione dell’obbligo di fedeltà non può considerarsi di per sé sola causa dell’intollerabilità della convivenza, e che è necessario fornire prova al riguardo (tra le altre, Cass. N. 8675 del 2013) (va dunque corretta la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui l’inosservanza dell’obbligo predetto costituisce violazione particolarmente grave e determinante di regola l’intollerabilità della convivenza e conseguentemente l’addebito). Ma è proprio dall’istruttoria testimoniale ( come riportata in sentenza nonché dallo stesso ricorrente) che emerge palesemente tale nesso di causalità: a fine maggio 2015 la C. scopriva l’infedeltà del marito e telefonava agitatissima ai genitori, come ha precisato il padre di lei; seguivano ulteriori riscontri della relazione del M., e ai primi di settembre veniva presentato un ricorso di separazione consensuale e successivamente quello di separazione giudiziale. Né si fa alcun riferimento, neppure da parte del ricorrente, ad un deterioramento del rapporto coniugale, che sarebbe stato causa della relazione extraconiugale.
Nulla aggiunge la memoria del ricorrente che richiama in sostanza profili di fatto ed in particolare il contenuto di alcune deposizioni testimoniali, proponendo, come si diceva, una valutazione alternativa rispetto a quella indicata, con motivazione adeguata e non illogica, dal giudice a quo, insuscettibile di controllo in questa sede. Se vi fossero stati errori di fatto da parte del giudice di appello, come sembra sostenere il ricorrente all’evidenza avrebbe dovuto proporsi revocazione.
Va pertanto rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso,’ e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in E. 3.100,00 comprensive di E. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.