separazione e divorzio: un atto unico

Una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma Cartabia in materia di diritto di famiglia riguarda la possibilità per i coniugi che intendono separarsi di presentare un ricorso volto ad ottenere sia la separazione che il divorzio, pur restando la domanda di divorzio procedibile unicamente decorso il termine a tal fine previsto dalla legge (6 o 12 mesi, secondo i casi, in ragione della procedura consensuale o contenziosa, ai sensi dell’art. 3 della legge sul divorzio).

Si tratta di un’ottima opportunità non soltanto per risparmiare tempo e denaro, ma anche per affrontare una sola volta la difficoltà della crisi matrimoniale, e la sofferenza che sempre proviene dalla necessità di affrontare le questioni pratiche relative alla fine di una relazione sentimentale, specie in presenza di figli minori.

Data l’irreversibilità della crisi matrimoniale, i coniugi potrebbero voler concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi e la definizione, benché progressiva, della stessa.

La disciplina introdotta dalla riforma Cartabia prevede espressamente tale facoltà soltanto per quanto riguarda separazione e divorzio contenziosi, ovvero quando a causa della conflittualità esistente tra le parti, non vi sia l’accordo sulle condizioni da adottare in relazione a affidamento dei figli, assegno di mantenimento, assegnazione della casa coniugale e ogni altro aspetto della regolamentazione dei rapporti tra ex coniugi.

Non è invece prevista espressamente la facoltà di proporre ricorso per separazione e  divorzio nel caso in cui via sia l’accordo su ogni questione, ovvero in caso di “procedimento su domanda congiunta”, e su questo punto  i tribunali di merito si sono divisi sostenendo tesi opposte.

E’ finalmente intervenuta la Corte di Cassazione che con ordinanza del 16 ottobre 2023 n. 28727 ha confermato che tale novità procedurale è in effetti ammissibile: “nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Sarà quindi possibile, sia in caso di procedura contenziosa che di procedura congiunta, chiedere contestualmente con un unico ricorso sia la separazione che il divorzio, sempre fatta salva la necessità che trascorrano sei o dodici mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione per poter ottenere anche la sentenza di divorzio.

Un notevole risparmio di tempo e di energie per tutti coloro che devono affrontare le conseguenze legali della crisi matrimoniale.

Acquistare casa senza sorprese con il nostro supporto legale

Assistiamo i clienti che intendono acquistare casa, sia nella fase della proposta di acquisto che nella fase della redazione del preliminare e fino al rogito notarile. Sovente accade infatti che l’acquirente formuli la proposta di acquisto senza essere pienamente consapevole del fatto che, una volta accettata, diventi un contratto vincolante ad ogni effetto.

Per queste ragioni, come studio legale, ci occupiamo di effettuare tutte le visure necessarie in conservatoria e in catasto, collaborando con i tecnici di sua fiducia (visuristi e geometri) – per accertarsi che l’immobile sia libero da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli – ipoteche, pignoramenti – e sia in regola con la normativa urbanistica – verificando eventuali abusi edilizi o difformità catastali.

Lo studio legale avv. Alessandra Beltramo, si interfaccia con il mediatore per richiedere al venditore tutti i documenti necessari per le suddette verifiche, possibilmente prima della firma della proposta di acquisto. Se l’immobile viene reperito senza la mediazione dell’agenzia, redigiamo direttamente la proposta di acquisto, eventualmente condizionata a tutte le verifiche necessarie e successivamente definiamo il vero e proprio contratto preliminare, in occasione del quale viene versata la caparra confirmatoria.

Dopo la stipula del preliminare ci occupiamo di interfacciarci con il notaio prescelto dall’acquirente per coordinare l’acquisizione di ogni documento necessario a predisporre il rogito. In sostanza ci occupiamo di evitare brutte sorprese – sempre più frequenti – a chi vuole acquistare casa e vi supportiamo in una fase delicata come è sempre l’acquisto della casa.

Nello stesso tempo, se il cliente lo richiede, ci occupiamo anche di reperire l’immobile più adeguato alle vostre  esigenze, o valutare insieme al cliente gli immobili prescelti per consigliarne o meno l’acquisto, e lo stesso se si tratta di immobile venduto all’asta: l’acquisto di immobili mediante asta – sempre più spesso telematica – è estremamente complicato per un privato che non abbia nozioni tecniche precise. Per questo, anche mediante procura notarile, assistiamo coloro che sono interessati, preparando i documenti, compilando l’offerta, e partecipando all’asta.

AVVOCATO BELTRAMO ALESSANDRA

Via Cavour, 19
10123 – Torino / Tel. 011.5621359
info@studiolegalebeltramo.it

 

Proposta di acquisto, contratto preliminare o compromesso?

Accade di frequente che un cliente si rivolga al mio studio legale, soltanto dopo aver firmato una proposta d’acquisto di un immobile, senza che gli sia chiaro il fatto che la proposta di acquisto, una volta accettata dal venditore, si converte in un vero e proprio contratto preliminare, vincolante e con effetti obbligatori. La caparra confirmatoria viene incassata dal venditore nel momento in cui accetta la proposta e lo comunica al compratore: le parti a quel punto sono obbligate a stipulare il contratto definitivo di compravendita davanti al notaio.

Mi sento spesso dire: “avvocato, ho solo firmato la proposta, ma voglio che lei si accerti che l’immobile non presenti problemi”. Se ci sono delle verifiche o degli accertamenti da effettuare sull’immobile che intendiamo acquistare, o se si rende opportuno rivolgersi a un legale per qualsiasi problematica inerente l’immobile, è bene farlo prima di firmare la proposta di acquisto. In alternativa, quantomeno, è bene condizionare l’efficacia della proposta al buon esito degli accertamenti da effettuare.

L’ideale sarebbe poter verificare la regolarità edilizia – la conformità urbanistica – l’assenza di servitù o di ipoteche – e quant’altro, prima di formulare e firmare la proposta (e versare la caparra confirmatoria); può succedere però che si renda necessario “bloccare” velocemente l’immobile d’interesse per evitare di perdere l’opportunità di acquistarlo.
In questo caso, l’efficacia della proposta, affinché il compratore sia tutelato, deve almeno essere condizionata, ad esempio inserendo nel modulo prestampato fornito dalle agenzie immobiliari una frase di questo tipo: L’efficacia del contratto preliminare di compravendita che si concluderà in caso di accettazione della presente proposta, è subordinata all’accertamento della regolarità edilizia e conformità urbanistica dell’immobile”.

Una volta che la proposta di acquisto viene accettata dal venditore e l’accettazione comunicata al compratore, il contratto preliminare è dunque concluso, e deve essere registrato presso l’agenzia delle entrate. Il cosiddetto “compromesso” non è altro che un nuovo contratto preliminare più completo, che recepisce il contenuto della proposta di acquisto, integrandola con tutti quegli elementi che presumibilmente al momento della proposta non erano conosciuti.

Non è obbligatorio redigere il contratto preliminare, ma è consigliabile farlo, dopo aver effettuato tutti gli accertamenti necessari che non si sono potuti fare prima: regolarità edilizia e urbanistica, assenza di vincoli, ipoteche, diritti reali altrui e ogni altra verifica che possa assicurare al compratore la serenità di acquistare un immobile libero da qualsiasi problema. Comprare casa è sempre un grande passo, basta qualche accortezza in più per evitare che diventi un salto nel vuoto.

I messaggi Whatsapp costituiscono prove !

Ai sensi dell‘art. 234 cod. proc. pen. i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono (Sms, Messaggi WhatsApp, Messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti. La Corte di Cassazione, quinta sez. penale, con la sentenza n. 1822/2018 entra nel merito di una questione oggi molto dibattuta come la natura giuridica dei vari strumenti di comunicazione legati all’innovazione tecnologica, ed in particolare ai più moderni cellulari.

La questione ormai è di grande attualità, poiché nell’era digitale è cambiato il modo di comunicare ed anche molte trattative di ordine commerciale si svolgono utilizzando tali strumenti. Nel caso di specie viene presentato ricorso alla Suprema Corte contro l’ordinanza del Tribunale di Imperia che, in funzione di giudice del riesame, aveva confermato il decreto di sequestro probatorio disposto dal PM nei confronti di un’indagata per reati fallimentari avente ad oggetto, tra l’altro, le e-mail spedite e ricevute da account in uso all’indagata, nonché il telefono cellulare del tipo smartphone, successivamente restituito previa estrazione di copia integrale dei dati informatici memorizzati (sms, messaggi WhatsApp, e-mail).

La Suprema Corte chiarisce che i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. Di conseguenza la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.

Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità non è applicabile la disciplina dettata dall’art. 254 cod. proc. pen. con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (v. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015).

La doglianza sollevata dalla difesa in merito alla acquisizione di copia anche di documenti non rilevanti e, comunque, non sequestrabili siccome non pertinenti al reato o addirittura relativi al mandato difensivo, non inficia, secondo la Corte la validità del provvedimento di sequestro, per cui diventa irrilevante. Infine, in merito alla questione del sequestro di informazioni scambiate tra indagata e difensore, è sufficiente osservare che, non vertendosi in tema di sequestro di corrispondenza per le ragioni esposte in precedenza , è del tutto inopportuno il richiamo al divieto di cui all’art. 103 comma 6 cod. proc. pen.

SCARICA QUI LA SENTENZA

Fonte: Altalex

Pensione di reversibilità anche al separato “per colpa”

La Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 2606 del 2 febbraio 2018, ha statuito che la pensione di reversibilità va riconosciuta “anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto”.

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 febbraio 2018, n. 2606
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dellaL. 30 aprile 1969, n. 153,art.24e dellaL. 18 agosto 1962, n. 1357,art.23, comma 4nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19986/2012 proposto da:

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA, 2, presso lo studio degli avvocati SILVIA ASSENNATO, MASSIMILIANO PUCCI, che la rappresentano e difendono, giusta procura speciale notarile in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, GIUSEPPINA GIANNICO, LIDIA CARCAVALLO, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1060/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 06/09/2011 R.G.N. 325/2007;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo

che la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 1060/2010/accoglieva l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di P.C. azionata, nella qualità di erede di V.G. suo ex coniuge deceduto il (OMISSIS), allo scopo di ottenere la pensione di reversibilità ancorché ella fosse separata con addebito per colpa;

che, secondo la Corte d’Appello, poiché la P. non fruiva di erogazione di alimenti in capo all’ex coniuge ed in suo favore, non poteva rivendicare dopo il decesso di costui l’attivazione di un trattamento previdenziale a suo vantaggio, posto che la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto; nè poteva condividersi l’affermazione del giudice di primo grado che indicava nella prosecuzione di vivenza carico la fonte della riconversione del trattamento medesimo; trattandosi infatti di presunzione essa era vinta da circostanze opposte, come per l’appunto la separazione senza concorso agli alimenti in favore del coniuge cui è stata addebitata la separazione medesima;

che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.C. con un motivo di ricorso nel quale prospetta la violazione e falsa applicazione dellaL. 21 luglio 1965, n. 903,art.22, dellaL. n. 153 del 1969,art.24, dell’art. 433 c.c. (in relazioneall’art. 360 c.p.c., n. 3) atteso che, secondo la costante giurisprudenza, la pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge in favore del quale il coniuge defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto;

che l’Inps ha depositato procura ed il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

che la ricorrente è vedova separata con addebito – ancorché sulla base di sentenza non passata in giudicato alla morte del marito – di G.G.B., deceduto il (OMISSIS), e che la sentenza impugnata le ha negato la pensione di reversibilità in quanto non era titolare di assegno di mantenimento all’atto del decesso del coniuge;

che il ricorso è fondato, posto che questa Corte di Cassazione ha già più volte chiarito (cfr., ad es. Cass. 19 marzo 2009 n. 6684, n. 4555 del. 25.2.2009, n. 15516 del 16 ottobre 2003) che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dellaL. 30 aprile 1969, n. 153,art.24e dellaL. 18 agosto 1962, n. 1357,art.23, comma 4nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte;

che in particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellatoart. 151 c.c.e la sentenza della Corte Cost. non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli;

che la motivazione del giudice delle leggi, se conduce ad equiparare con sicurezza la separazione per colpa a quella con addebito, non autorizza l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione;

che se è possibile individuare contenuti precettivi ulteriori, essi riguardano esclusivamente il legislatore, autorizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni;

che invero, nonostante che la Corte costituzionale, nell’occasione indicata e in altre successive (sentt. nn. 1009 del 1988, 450 del 1989, 346 del 1993 e 284 del 1997) abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione;

che ad ambedue le situazioni è quindi applicabile laL. 21 luglio 1965, n. 903,art.22, il quale non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc.), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato;

che in definitiva, nella legge citata la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima;

che non essendosi attenuta alla regola indicata, desumibile dallaL. 21 luglio 1965, n. 903,art.22, quale risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità della L. 30 aprile 19659, n. 153, art. 24, la sentenza impugnata va cassata; e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può procedersi alla decisione nel merito, con l’accoglimento della domanda proposta da P.C. nei confronti dell’INPS;

che le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, accoglie la domanda originaria. Condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali dell’intero processo che liquida in complessivi Euro 2500 per il giudizio d’appello di cui Euro 1000 per diritti ed in Euro 2700 per il giudizio di legittimità, di cui 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Conferma la liquidazione delle spese effettuata dal tribunale per il giudizio di primo grado.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018

Fonte: Corte di Cassazione

Divorzio: la Cassazione si è espressa sull’assegno all’ex

Nell’udienza pubblica odierna delle Sezioni Unite di Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sul criterio per la determinazione dell’assegno di divorzio dopo la nota Sentenza Grilli, il Pg ha chiesto il “ritorno al tenore di vita“, sulla questione dell’assegno di divorzio dopo la Sentenza Grilli (n. 11504/2017) che aveva di fatto abbandonato il criterio del tenore di vita.

Secondo il nuovo pronunciamento occorrerà tornare a valutare anche il tenore di vita e non soltanto l’autosufficienza economica. Il Pg della Cassazione, Marcello Matera, sostiene infatti che il criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio va ancora preso a riferimento nelle cause di divorzio al fine di valutare il diritto del coniuge più debole a ricevere l’assegno di divorzio.

Le Sezioni Unite sono chiamate a decidere sull’accoglimento o meno del ricorso di una donna contro l’ex marito che in appello, dopo la sentenza Grilli aveva ottenuto la revoca dell’assegno di divorzio che corrispondeva mensilmente all’ex moglie.

Per la Corte di Cassazione, l’assegno di divorzio sarà dunque da valutare caso per caso:
“Ogni singolo giudizio richiede necessariamente la valutazione delle peculiarità del caso concreto perché l’adozione di un unico principio di giudizio – come quello stabilito dalla sentenza del 2017 – corre il rischio di favorire una sorta di giustizia di classe”. Questo quanto sottolineato da Matera nella sua requisitoria innanzi alla Suprema Corte. Può anche convenirsi, ha proseguito Matera, “sul fatto che il criterio dell’autosufficienza può essere preso come parametro di riferimento, ma non si può escludere di rapportarsi anche agli altri criteri stabiliti dalla legge quali la durata del matrimonio, l’apporto del coniuge al patrimonio familiare, il tenore di vita durante il matrimonio”.

Ora spetterà alle Sezioni Unite decidere se confermare il verdetto Grilli e mandare in pensione il tenore di vita o meno. La decisione sarà depositata tra circa un mese.

Cure per l’Alzheimer gratis: svolta storica in Cassazione

Svolta storica per chi ha un parente malato di Alzheimer. Dopo la storica decisione della Cassazione, la class action è già partita. Le famiglie, che si sono ritrovate sole ad affrontare la malattia e che hanno pagato per anni quasi duemila euro al mese per garantire assistenza ai parenti affetti da Alzheimer, ora chiedono di essere risarcite. La Cassazione, infatti, ha stabilito che i costi devono essere sostenuti dallo Stato. Di conseguenza la Regione Lazio rischia adesso di dover rimborsare migliaia di cittadini per le spese di degenza delle rette nelle Residenze sanitarie assistenziali.

Dando ragione alla figlia di un anziano, il Tribunale civile di Roma ha condannato la Regione a risarcire la donna per le spese sostenute nel periodo in cui il padre era stato ricoverato. Secondo i giudici, i costi per l’assistenza dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, infatti, devono essere interamente a carico del Sistema sanitario nazionale, senza gravare su pazienti e familiari.

Alzheimer: quasi 5mila richieste aiuto nel’17, meta’ in Lombardia

Pronto Alzheimer, la prima linea telefonica in Italia di orientamento e assistenza alle persone con demenza e ai loro familiari, ha risposto a 4.808 richieste di aiuto da tutta Italia, solo nel 2017. La meta’ proviene da Lombardia e Milano. Nato nel 1993, il numero telefonico 02-809767 viene gestito da allora ininterrottamente dalla Federazione Alzheimer Italia, la maggiore non profit nazionale dedicata al sostegno dei malati (oltre 1,2 milioni in Italia secondo le ultime stime) e di chi vive loro accanto. 45549 e’ il numero solidale a cui si puo’ inviare un sms (per donare 2 euro) o effettuare una chiamata da rete fissa (per donare 5 o 10 euro) dal 21 gennaio al 10 febbraio 2018 per sostenere Pronto Alzheimer che ogni giorno fornisce gratuitamente consulenze attraverso la disponibilita’ e la competenza di operatori specializzati e di volontari. Nei suoi 24 anni di attivita’ Pronto Alzheimer ha risposto e gestito oltre 150mila richieste. I quasi 5mila contatti del 2017, spiega l’organizzazione, sono giunti attraverso telefonate ma anche e-mail e lettere – ed hanno ricevuto in risposta un consiglio relativo alla gestione del malato in casa e in situazioni specifiche, un’indicazione sulle strutture sul territorio a cui rivolgersi, una risposta di carattere legale o previdenziale, un aiuto psicologico. Un numero sempre crescente di persone chiede inoltre un appuntamento presso lo sportello di Pronto Alzheimer, per poter avere un contatto diretto con gli operatori, anche alla presenza del proprio familiare malato. Provenienti da tutta Italia, le richieste di aiuto si concentrano in particolare in Lombardia, dove si contano 2.098 contatti (di cui 1.431 solo a Milano, dove ha sede principale la Federazione Alzheimer Italia). Segue il Lazio con 255 contatti, principalmente localizzati nella capitale. Seguono Piemonte (208), Emilia Romagna (172), Veneto (162). Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, ha sottolineato che “la persona con demenza deve essere posta al centro, con la sua dignita’ e una qualita’ di vita sempre piu’ elevata. Questa e’ la nostra priorita’ quotidiana, che guida ogni nostra scelta e ogni progetto che portiamo avanti con energia e con la forza di non essere soli”.

La decisione

La decisione del Tribunale si basa su una sentenza di piazza Cavour, che ha stabilito l’impossibilità di distinguere, in caso di Alzheimer, tra «le quote di natura sanitaria (a carico della Regione) e quelle di natura assistenziale (a carico dei pazienti), stante la stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime». Tradotto: i costi del soggiorno in Rsa, in questo caso, sono totalmente a carico dello Stato. La malattia di Alzheimer e’ la piu’ comune causa di demenza (rappresenta il 60% di tutti i casi).

Fonte: Affari Italiani

Notifica degli atti giudiziari nel 2018

La Legge di bilancio 2018 ha introdotto diverse modifiche alla disciplina in materia di notificazioni di atti giudiziari e multe. In particolar, la legge interviene sulle notificazioni a mezzo posta, al fine di garantire l’effettiva operatività del principio di efficienza del servizio e del risparmio di spesa. La riforma incide sul procedimento civile, su quello penale e su quello amministrativo, nonché sui procedimenti avverso alle sanzioni amministrative (art.1, comma 461).

La riforma tocca dunque la Legge n. 890/82, facendo venir meno il pluriennale monopolio detenuto da Poste Italiane e intervenendo sugli istituti della irreperibilità del destinatario, della legittimità a ricevere il plico contenente l’atto da notificare e modifica anche quelle che sono le indicazioni da inserire sulla busta.

Servizio svolto da operatori privati
Una delle principali novità introdotte dalla Legge di bilancio è la possibilità riconosciuta anche a operatori privati, di svolgere l’attività di notificazione, purché siano in possesso della relativa licenza. Al pari degli addetti a Poste Italiane, anche gli operatori privati rivestiranno la qualità di pubblici ufficiali ai fini dell’attività di notificazione. I moduli che possono essere utilizzati dovranno rispondere ai modelli predisposti dall’AGCOM.

La consegna del plico dovrà avvenire nelle mani del destinatario (anche se dichiarato fallito); se non presente, la consegna dovrà essere effettuata a persona di famiglia, anche temporaneamente convivente, oppure a persona addetta alla casa, purché non abbia un’età inferiore a quattordici anni.

Indennizzo in caso di smarrimento del plico. Gli obblighi dell’operatore.
La nuova normativa prevede che in caso di smarrimento del plico, l’operatore tenuto all’attività di notifica, dovrà corrispondere un indennizzo al mittente dello stesso, nella misura stabilita dall’AGCOM. Nessuna indennità dovrà invece essere dovuta nel caso di smarrimento dell’avviso di ricevimento; tuttavia, l’operatore è tenuto a rilasciare al mittente un duplicato dello stesso, senza ulteriori costi aggiuntivi.

Di prassi, nel caso in cui il mittente abbia indicato un indirizzo PEC, l’avviso di ricevimento verrà trasmesso al medesimo in formato digitale; presso l’ufficio dell’operatore, sarà conservato il documento cartaceo, che potrà essere ritirato dal mittente.

Nuovi criteri per l’assegno divorzile

L’assegno divorzile trovava presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio. Ai fini del calcolo dell’assegno in questione, dovevano dunque essere per quanto possibile ripristinate le precedenti condizioni economiche, per ristabilire un certo equilibrio.

La Cassazione Civile, sez. I, con la recente sentenza 10 maggio 2017, n. 11504, ha invece abbandonato il criterio di adeguamento dell’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La Corte ha stabilito infatti che il criterio del tenore di vita, applicato all’an debeatur, non possa più essere il valido criterio per la determinazione dell’assegno divorzile, proprio perché, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale e tale criterio, una volta applicato limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto, finirebbe per operare un ripristino del vincolo.

In sintesi:

“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”  (Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10 maggio 2017, n. 11504).

Il principio espresso nella suddetta pronunzia è applicabile anche a tutti i processi già pendenti ed avviati prima della pronunzia stessa.


Il parametro di riferimento fondamentale ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile si fonda sul giudizio di adeguatezza-inadeguatezza” dei «mezzi» dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla “possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»” dello stesso di procurarseli.   Tale assunto è inscindibilmente connesso al raggiungimento dell’indipendenza economica” del richiedente: se si accerta che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto all’assegno divorzile.

I principali “indici”per accertare, nella fase di giudizio sull’an debeatur, la sussistenza, o no, dell’”indipendenza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio – e, quindi, l’”adeguatezza”, o no, dei «mezzi», nonché la possibilità, o no «per ragioni oggettive», dello stesso di procurarseli -possono essere così indicati:

a) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
b) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno;c) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;d) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Il Tribunale, Milano, sez. IX civile, ordinanza 22 maggio 2017, ha subito applicato i nuovi principi specificando che: “Per indipendenza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio  sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”.

Il Tribunale di Milano, adeguandosi ai nuovi criteri di determinazioni, elaborati dalla Corte di Cassazione, ha aggiunto un altro elemento valutativo: l’importo minimo reddituale oltre il quale chi richiede l’assegno divorzile non può ottenerne il riconoscimento. Il reddito mensile minimo, per accedere all’assegno di divorzio, viene fissato in Euro 1.000, mensili.

Il coniuge più debole che ha richiesto l’assegno di divorzio non può limitarsi a semplici prove generiche e non circostanziate. Deve, infatti, dimostrare di essere nell’impossibilità – per impedimento fisico o altro – di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Se dovesse limitarsi a dedurre di aver svolto incarichi occasionali non avrebbe sufficientemente provato quanto sopra e perderebbe il diritto all’assegno di divorzio.

FONTE: ALTALEX

Il Biotestamento con 180 Sì è Legge dello Stato

Il Biotestamento, dopo uno stallo durato otto mesi e forti tensioni all’interno della maggioranza, appelli di senatori a vita e sindaci di tutta Italia, incassa il via libera definitivo dell’aula di Palazzo Madama e diventa legge dello Stato. La legge che regola il fine vita è stata approvata con 180 sì, 71 contrari e sei astensioni.

I dirigenti dell’associazione Coscioni hanno assistito dalla tribuna dell’Aula del Senato alla conclusione dell’esame sul biotestamento. Il presidente del Senato ha rivolto loro un saluto durante i lavori di Aula: “Pur nella diversità delle opinioni, di fronte a noi dobbiamo tener presente la vita reale delle persone, i loro bisogni, le loro sofferenze, le loro aspettative. Possiamo dire di aver assolto al nostro compito quando, in coscienza, decidiamo secondo criteri di responsabilità, cercando tutti insieme la strada di maggior condivisione possibile anche sulle questioni più divisive”: così Pietro Grasso, nel corso del tradizionale scambio di auguri di fine anno con la stampa parlamentare, commentando l’approvazione del biotestamento.

Con gli occhi gonfi di lacrime, non solo la madre e la fidanzata di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, ma anche la pm Tiziana Siciliano e il pubblico presente, hanno guardato le immagini del filmato de Le Iene, nel quale si vede l’agonia della sua condizione di cieco e tetraplegico e anche una sua crisi respiratoria. “Andrò via col sorriso perché vivo nel dolore” sono alcune delle parole di Fabo.

Davanti alla Corte d’Assise di Milano (presidente Ilio Mannucci Pacini), composta anche da giurati popolari, anche loro a tratti visibilmente commossi, sono state proiettate in aula, come chiesto dai pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini (avevano chiesto l’archiviazione dell’accusa per Cappato, ma è poi stato il gip a disporre l’imputazione coatta), parti del filmato integrale di circa due ore dell’intervista rilasciata da Antoniani, morto col suicidio assistito il 27 febbraio scorso in una clinica svizzera, a Giulio Golia, inviato del programma tv e che è stato ascoltato come teste durante la visione del video. “Alla Procura interessa fare chiarezza su quelle che erano le condizioni di Antoniani e sulle sue volontà”, ha spiegato il pm Siciliano che mentre venivano trasmesse le immagini aveva gli occhi bagnati dalle lacrime, così come la fidanzata di Fabo, Valeria, e la madre, Carmen, e anche gran parte delle persone presenti nell’aula, tra cui molti cronisti.

Le persone “sottoposte a sofferenze terribili con malattie irreversibili“, come Fabiano Antoniani, hanno “il diritto di scegliere come morire, è un diritto umano fondamentale” e “per me era un dovere aiutare Fabiano, sono responsabile di averlo aiutato”: così, interrogato nel processo per aiuto al suicidio, Marco Cappato, precisando però di non aver “rafforzato il suo intento”. Fabo, ha raccontato, “mi diceva ‘se non mi aiuti, uno che mi spara lo trovo'”.

LEGGE SUL BIOTESTAMENTO IN 10 PUNTI